“Natura Requiem” di Marcello Sambati: il dolore della Natura violata di Vincenza Fava (Italia Sera)

Marcello Sambati, poeta, autore, attore e regista teatrale, ha presentato il suo ultimo lavoro poetico “Natura Requiem. Frammenti del tempo finito” (ed. La camera Verde, pag. 19, 15 euro) presso la sede dell’Associazione Culturale La Camera Verde di Roma (via Giovanni Miani, 20) lo scorso sabato 17 ottobre.

Dopo la lettura delle poesie da parte del poeta, è stato proiettato il video (a cura di KinoBroz) dello spettacolo teatrale (a cura dell’associazione culturale Dark Camera), per la regia stessa di Sambati, rappresentato il 16 aprile 2009 al Teatro Furio Camillo di Roma e il 2 maggio ai Teatri Soratte di S. Oreste (VT), con le attrici-danzatrici Sabrina Broso, Chiara Casciani e Alessandra Cristiani.

Le poesie di “Natura Requiem”, icastiche, brevi, pregnanti e dolorose dipingono una Natura in decadimento, violata e sopraffatta dall’egoismo glaciale degli uomini incuranti delle proprie radici e origini terrene. I figli della Terra rinnegano continuamente e impietosamente la propria genesi, lacerando quel legame ancestrale che da secoli ha unito l’essere vivente alla Creazione. Su questo scorcio desertico e inumano, arriva la voce del poeta, interrompe il silenzio che si fa grido e raccoglie la polvere del vento, eterna corrente che ci trascina. Come diceva Rilke, il vate per poter scrivere anche un solo verso deve conoscere città e luoghi, gli animali e il volo degli uccelli, ogni essere vivente che anela la luce, così Sambati  ascolta, avverte  e vede le “lacrime secche” negli occhi delle bestie e nel soffio della montagna e le “lacrime nere” delle piante. S’interrompe fatalmente l’apocatastasi dell’essere, la rigenerazione ciclica dal nulla perché molte specie animali e vegetali non potranno più accedere all’incredibile miracolo della rinascita. Si rovescia (o meglio l’uomo tenta di rovesciare) la remota traiettoria del passaggio “terra-nulla”: ora è l’uomo che, padrone del mondo, infligge la morte alla Natura (“agnella deflorata da lama irrimediabile”), ricevendo in cambio altra morte e distruzione perché presto il Creato si riprenderà ciò che gli è stato tolto (sembra suggerirci la voce profetica del poeta), è solo questione di tempo. Ormai la ferita lenta, a lungo preparata, sanguina, “cola, irriga e spacca”. Il duro impatto con questa realtà dolente diventa ancora più evidente e plastico con lo spettacolo teatrale. I corpi delle attrici-danzatrici (esperte in danza butoh) incarnano il conflitto tra vita e morte (impressionanti le catene che legano gli arti dell’attrice) e sottolineano con estrema fisicità le parole poetiche che diventano didascalie sinottiche delle immagini marmoree. La Carne, tesa in movimenti lentissimi in cui il tempo esteriore è annullato in favore di un tempo interiore, si fa alter-ego e specchio dell’autodistruzione umana e il Nulla si risolve nella controfigura dell’Essere. È una danza tra le macerie che scolpisce la durezza della pietra (intesa come corpo umano-natura), una durezza difficile da conquistare perché sostanza degli accidenti, è morte dell’individuo per la vita del Tutto. La regia di Sambati diventa un atto d’amore nei confronti della Vita, del movimento interiore-spirituale delle attrici, sculture fisiche e viventi dell’hic et nunc teatrale.

(Vincenza Fava, Italia Sera, 23/10/2009)