autointervista di Marcello Sambati (estratto da Tra memoria e presente di Pippo di Marca)

La pratica poetica

Il tuo lavoro è iniziato negli anni settanta trasferendoti dal Salento a Roma. Quale pensi sia stata l’importanza dei fenomeni quali le serate di poesia del teatro Beat 72, anche rispetto al tuo lavoro oggi?

Dopo una prima fase di sperdimento, il mondo che ho lasciato mi ha seguito, mi ha raggiunto, intero; ho sempre pensato di avere una coda irrinuniabile. Non a caso il mio primo lavoro teatrale rifondava la mia origine, anzi proprio stando a Roma ho scoperto da dove venivo: da una mitologia, come tutti. Ho guardato ed ho visto l’orizzonte da cui provenivo e quindi ne ho compreso la potenza. Le serate di poesia del Beat 72 mi hanno ammutolito per dieci anni. Il festival dei poeti di Castelporziano, apice ve fine di questa avventura poetica romana (non a caso il palcoscenico è sprofondato nella sabbia alla fine delle serate), è stato un alimento che soltanto dopo molti anni ha dato i suoi frutti. Io personalmente sono come quei fichi tardivi che fruttificano in autunno e si colorano quando tutti gli altri marciscono.

(…)

Quanto l’esperienza di praticare i testi, da attore, ti aiuta a scrivere? Troveresti in ciò un legame con quelle poetiche che portano avanti un lavoro sulla corporalità?

C’è un nutrimento, che viene dai testi per le scene, ma più spesso dall’ascolto, dai segni stessi del proprio corpo-essere, dalla natura. Che poi questo possa generare scrittura attiene alla condizione dell’artista. Mi ritorna molto dal corpo e dalla corporalità. C’è una poesia del corpo che si esprime con i muscoli, con le interiora, con i nervi, coi silenzi e non recitando la semplice parola.

(…)

Pensi rispetto alla tua scrittura di poter individuare dei punti di riferimento, dei maestri, compagni di viaggio? Cosa senti più vicino a quello che fai?

L’acqua rispecchiante del pozzo, la violenza del vento che piega le cime degli alberi. Sento vicino il lavoro del ragno, del tarlo, del picchio, che tessono, rodono, scavano per necessità naturale, perchè altro non possono e non sanno fare. Jabés, Manganelli, Simone Weill, Cristina Campo…ma i Mestri che mi hanno disegnato i puoi trovare nel racconto Corpo scritto a matita.

Estratto da Pippo di Marca, Tra memoria e presente, Breve storia del teatro di ricerca in Italia nel racconto dei protagonisti. Teatrografia (1959-1997), Artemide Edizioni, Roma: 1998 (pp.65-67)

 

 


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