Dall’oscurità – recensione di Carla Romana Antolini (Liberazione)
Un’opera dolorosa in cerca di assoluto. Su una lastra di metallo inclinata verso il pubblico, posta al centro del palcoscenico, Sambati propone un’opera dolorosa e poetica. Dal buio totale, lo spettacolo procede per quadri di luce, dove il corpo dell’attore-autore si scontra con la "malvagità" di un materiale freddo e inospitale. Le musiche di Gesualdo e Bach si alternano a sonorità metalliche, urla stridenti del corpo dell’attore che scivola o cerca di risalire a contatto con la lastra, come in un duello per la sopravvivenza. …Le chiusure di buio in sala diventano lunghissime, proponendoci più volte finali senza via d’uscita…Le parole strappano alla tenebra il loro istante luminoso. Sono cantate, rivivono il calore di un coro e l’illeggibilità del dialetto, traducono il suono dell’acqua scrosciante, vivono di richiami e vibrazioni. Come in una danza, il corpo partecipa alla musicalità del dire. La regia si riferisce a Maurice Blanchot: Il maestro è destinato non a semplificare il campo delle relazioni, ma a sconvolgerlo; non a facilitare le vie del sapere, ma principalmente a renderle più difficili, anzi propriamente impraticabili. Non è un caso, dunque, che Sambati guardi a un filosofo che parla dell’opera come di una domanda che resta senza risposta e dell’enigma che essa rappresenta per la ragione…
Carla Romana Antolini. Liberazione.
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