Dall’oscurità – recensione di Laura Santini (Mentelocale.it 2008)

Poesia acrobatica, articolazione verbale suadente nella disarticolazione delle membra è il percorso che compiamo insieme a Marcello Sambati nel suo Dall’oscurità. Prima lezione dalle tenebre, un lavoro del 2002 parte di un trittico dal titolo Lezioni delle Tenebre (con L’incompatibile, 2003 e Addio, 2005). Il piano inclinato corredato di alcuni appigli metallici è tutto ciò che resta dapercorrere a un’esistenza che si autodefinisce lacuna. Ancora una volta arrivato a fine corsa l’umano è privato quasi di tutte le sue capacità e forze perché il desiderare ha consumato il desiderio. La nascita è la maledizione che condanna a vivere, da cui il rimprovero verso quelle ginocchia che ci hanno per prime cullato e nutrito ignare di gettarci nel mondo.

 Non sono di questa specie, di me non so nulla… Questo è il mio cadavere… Scendo nel fosso che promette notte.
Dentro la poesia di Sambati si ritrova quel lirismo beckettiano della narrattiva breve dove non c’è più neppure la possibilità per l’inidividuo di costruire la propria storia, se non per frammenti, brandelli, strappi inconsci e incontrollati di una cronologia incerta e ostile.
Corpo e voce sono disarticolati in preda ai tremori della sofferenza, al tormento dell’ansia, del sonno, della non pace, di una vita che continua a pulsare e ci propone un corpo arrampicato, rannicchiato, aggrappato, abbandonato come uno straccio o eretto in uno strano equilibrio, come appeso. Oppure ancora scosso profondamente chissà forse persino da un tardivo e tormentoso sogno erotico in corpo di vecchio. Strepitoso, difficile e denso, cupo e alto.
Sono solo pelle, in una corona di vocaboli, che è la bocca, unico organo – come in Not I di Beckett -, a non dimettersi dalla sua primaria funzione.
Essere sono stato, amato ho amato, ora le mie ali sono al mercato.
Anche Marcello Sambati, attivo fin dagli anni ’80, è evidentemente una novità per il pubblico genovese che non ha avuto l’occasione di apprezzarlo come è successo all’estero (ospite di diversi festival internazionali) per le sue doti di attore, per i suoi testi teatrali (Eros, Liebe, 1991; Prometheu, 1998; L’opera delle farfalle, 2000), ma anche per la sua poesia (tra gli altri titoli: Carta dei Respiri, 1996; Tavolette Apule, 1998, Danze Locuste, 2002).

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