L’incompatibile – recensione di Francesco Bernardini (tuttoteatro.com)

DENTRO UNA LIGNEA E MISTERIOSA CORNICE

Marcello Sambati presenta al Furio Camillo di Roma la sua “seconda lezione delle tenebre”, L’incompatibile. Un minimalismo assoluto di sicura eleganza, una forma rara e di parca misura, ritmato da una colonna sonora di note e rumori di centellinata efficacia. Da non perdere

di FRANCESCO BERNARDINI

Roma – C’è da credere che più d’uno proverebbe imbarazzo ad offrirsi in scena col solo ausilio di una cornice quadrata: il caso non riguarda Marcello Sambati, avanguardista navigato, che quella cornisce trasforma in una sorta di porta sull’ignoto, sul cosmo, sul mistero della vita, sul mistero della morte e, cosa non ultima, sul mistero e sul dono del teatro.

L’incompatibile è la sua “seconda lezione delle tenebre”, cui seguirà una terza parte. Lezione di minimalismo assoluto e di sicura eleganza, con la complicità programmatica di un inscheletrimento degli elementi stessi della scena. Vale a dire che spesso, nel corso di un’ora di spettacolo, la lignea cornice appare da sola, in ruolo di silente e misteriosa protagonista, senza la presenza dell’attore monologante, mentre il ritmo è dato dall’assolvenza e dissolvenza del progetto illuminotecnico perfetto di Gianfranco Staropoli.

Quando poi Sambati si offre, è un uomo al limite: oltre la cornice ci può essere tutto, ché quel perimetro all’interno del quale afferma il suo segno attoriale è una sorta di passaporto verso un viaggio oscuro e comunque segnato da qualche ineluttabilità: sia ora il fiorire senza scampo della morte, sia magari un perenne struggimento dell’esistere stesso. Con giacca blu, pantaloni bianchi e anfibi ai piedi, Sambati si realizza in una non scontata arte del declamare: né trombone vecchio stile, né macchina. C’è piuttosto in lui un rovello desolato, mentre si snocciola sui toni di un pianissimo contemplativo un testo dallo stesso messo a punto, un copione che abilmente aspira a vette di lirismo senza mai mettere in luce una pompa decorativa fine a se stessa. E riesce a soprenderci, il nostro, quando, con invisibile trucco, galleggia nel buio o pare arrampicarsi sulle pareti, sempre in costante movimento, in perenne camminata, in meccanica e tormentosa scalata. Salvo poi abbandonare, per il tempo di una sequenza, quel triste viaggio, per offrirsi in un frammento di teatrodanza convulso che coltamente rievoca gli intepreti cacciatori di cosmiche energie come si usava ai tempi dei danzatori espressionisti d’inizio secolo.

E il congedo avviene scomparendo: restano solo gli abiti vuoti a ritmare gli attimi finali o, come lo stesso autore scrive nel prezioso libretto di sala: <<Un corpo appeso, infilzato, squadernato in una teca da museo antropologico come un insetto>>. Questo L’incompatibile è un episodio di forma rara e di altrettanto rara e parca misura, ritmato oltretutto da una colonna sonora di note e rumori di centellinata efficacia. Da non perdere.

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