Sul cammino dei passi brevi – recensione di Vincenza Fava (Italia Sera) 12/2008
Marcello Sambati: “Sul cammino dei passi brevi”
La Camera Verde pubblica un’elegante libro di poesie “Sul cammino dei passi brevi” (pag. 27, 25 euro) scritto da Marcello Sambati con le illustrazioni di Romano Sambati. Marcello Sambati, poeta, attore e regista teatrale, torna alla poesia (diverse la raccolte poetiche pubblicate come “Carta dei respiri” del 1996, “Tavolette apule” del 1998, “Danze Locuste” del 2002), ai versi brevi, sciolti ed intimamente colmi della propria sensibilità ed esperienza artistica. La sua poesia, frammento di vita che racchiude un intero universo come un “haiku occidentale”, è intrisa di esperienze molteplici, visive, immaginifiche e sensoriali dettate dall’infinita ricerca della parola essenziale, scevra di estenuanti ridondanze. Un colpo al cuore per il lettore, un’immersione atipica nell’altrove, nel non detto, nella parabola verticalizzante che conduce ad una assiomatica genuina e spontanea dell’essere umano, catapultato nella dignità della nascita, dell’esistenza, del dolore e della morte, al di là di ogni moralismo o definizione filosofica. Tutto ha inizio da un: “Levarsi, come un’alba o un perdono,/ su effimere partiture di resina”. Il tema centrale della raccolta è proprio la brevità della vita, dell’attimo che trascorre oltre ogni verità religiosa o matematico-scientifica ed il relativismo emozionale antropico che ne deriva si fa oggetto interiorizzato e poi rappresentato in effigi naturalistiche di grande intensità. L’impermanenza diventa l’unica certezza umana tradotta in una comunicazione azzerata che inizia invece al livello inconscio, eppure efficace, del silenzio. Il fenomeno è ciò che appare e contiene tutto, ma il poeta-profeta, insondabile visionario, non segue la direzione dell’apparenza e scrive parole non per comunicare a livello superficiale, come succede nella vita quotidiana zeppa di stereotipi e luoghi comuni, ma essenzialmente per non-dire: “Nell’apparenza che contiene tutto/ io dico per disdire”. La poesia non si risolve nella parola consumata, destinata a svanire, ma cerca la saggezza emotiva del verso inconsueto, ineffabile; s’immerge così nel vortice sensazionale della coscienza sentimentale. La consapevolezza della morte, come evento naturale e quindi necessario, è il punto di partenza per il viaggio della vita: “Tra sesami e cedrine, me lo rammenti,/ c’è il dover morire”. Una vita che porta il peso della sofferenza e dello stesso corpo umano, quale materia destinata alla consunzione e poi alla leggerezza metafisica del nulla. Di qui i bellissimi i versi: “Le ossa e le scarpe si sformano sulle tracce,/ questo peso ha una disperata leggerezza”. Tuttavia, basterebbe aprire gli occhi, osservarsi nell’osservare e perdersi poi nell’osservato per trovare il vincolo sentimentale anelato col divino: “Mandala, ventagli e fiumi/ sulla terra assorbente”. I versi di Sambati si rivelano geroglifici poetici: svelano il legame archetipico e sacro che esiste tra la Natura e il Segno e poi tra il Segno e il Sentimento. Si respira la saggezza della visione orientale della vita, i versi misurano il distacco, per cui la Caduta, tempo forte del ritmo (come le vette altisonanti di una montagna) e dell’esistenza, diventa sinonimo di abbandono nelle braccia del ciclo-spirale della durata. L’accettazione è l’unica direzione auspicabile per l’uomo perché: “Sul cammino dei passi brevi,/per acqua, per risveglio,/ saremo disponibili al dolore”. Le splendide poesie sono accompagnate dalle notevoli opere pittoriche del fratello, pittore e scultore, Romano Sambati. I disegni, realizzati su cartoncino con inchiostro o matita e a volte uniti a tenui lavori su creta, svelano una figura umana in perfetta simbiosi panteistica con la luna, la terra ed il cielo. I versi sono stati tradotti in inglese da Kim Sambati esperta in traduzione e in letteratura anglosassone.
Vincenza Fava (Italia Sera)
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