Marcello Sambati – Carta dei respiri 1996

Carta dei respiri

1996

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postfazione di Tiziana Colusso

RESISTERE ALLA CANCELLAZIONE PRATICANDO LA PROPRIA SPARIZIONE.

“…concert funèbre de la goutte
séparée de l’océan mère”

Hawad, Testament nomade

“Il torchio spreme a poco a poco / acqua di sparizione”

Si è tentato molte volte e in molti modi, nell’ultimo decennio, di cancellare le potenzialità produttive e la visibilità artistica di chi, come Marcello Sambati, si impegna in ciò che si usa indicare come teatro di poesia, e che forse più esattamente è ricerca di un “affioramento poetico del teatro”.

Finita la bella estate dell’avanguardia, nella quale l’elaborazione di iniziative e di intenti collettivi sembrava offrire un riparo a tutti, molti gruppi, luoghi di teatro e singoli artisti sono stati costretti al silenzio produttivo e all’invisibilità, oppure a barcamenarsi per essere assorbiti od assoldati a cottimo dall’industria culturale. Qualche tempo fa ho ascoltato per caso in un autobus stracolmo una conversazione illuminante. Due attori di teatro, evidentemente amici di vecchia data, si ritrovano. La domanda di rito è: cosa stai facendo? Uno dei due sta lavorando con uno dei protagonisti del teatro di ricerca degli anni 80, Giorgio Barberio Corsetti. L’altro è appena stato assunto per allestire degli sketch, dei siparietti di intrattenimento, per il programma televisivo “Producer”. Riporto i particolari, perchè è nelle esperienze concrete la verità, e non nelle generalizzazioni vaghe. Bene, l’attore che lavora con “l’avanguardista” è scontento, dubbioso, risente dell’atmosfera d’incertezza che aleggia intorno al suo lavoro, ed è stressato dai problemi pratici (poichè non è di Roma, per il periodo delle prove e dello spettacolo deve vagare ospite da una casa all’altra). L’altro, quello appena assunto nel programma televisivo, è soddisfatto, fa progetti per il futuro e, poichè anche lui non è di Roma, dà all’altro l’indirizzo di un bell’albergo del centro. Fine della parabola.

Questo è il contesto, per tutti. E quando si parla di teatro e di poesia, non bisogna dimenticarsene nemmeno per un minuto, se non si vuol cadere nella mistificazione e nell’ipocrisia. In questo contesto, molti hanno resistito e resisono, ognuno a modo suo. Marcello Sambati fa parte di questo drappello. La particolarità di Marcello è che lui resiste per sparire, per continuare come una solitaria formica cercatrice un’opera di sparizione cominciata molti anni fa. In un testo scenico del 1988 “Ecce Homo”, Marcello ammoniva chi era lì ad interrogarsi sul suo teatro: Non ti accorgi di come io stia scomparendo? La pratica della sparizione, è lo stile della sua presenza.

Io testimonio quel che spare

E’ qui che trova fondamento e ragione la ricerca di Marcello Sambati, al di là degli spettacoli stessi, che di tale ricerca sono segnaletica disseminata nel tempo: ricerca enigmatica e solenne di un vuoto che si svuota, paradosso della mente e itinerario spirituale che non mira altrove da sé stesso. La pratica della sparizione richiede a Marcello una lucidità ed un addestramento costanti, strenui, a volte perfino crudeli. “Campo d’addestramento” chiamava in un lontano testo la sua ricerca, l’affioramento del suo luogo poetico, attuato da un evento scenico ad un altro, attraverso la figura non simbolica, ma interiormente vera e tangibile, della sparizione.  Ora abbiamo tra le mani questa Carta dei respiri, e viene naturale di leggerli come appunti di viaggio dello Sparente, cme annotazioni di un addestramento iniziatico che di respiro in respiro si avvicina al suo centro.

Ho guadagnato respiro cancellando
l’ombra che mi legge, la cera
che mi regge, le cose che sono
stato.

Nel tempo il teatro di Marcello si è fatto miniatura, ecosistema essenziali. Ha cominciato con il sacrificare i congegni scenici, i macchinari leonardeschi, le carrucole e le ali di canne costruite con pazienza santa, i fortini e le flotte, il ferro e il legno, la bilancia che in una lotta visionaria con l’angelo lo faceva oscillare in bilico tra la scena e il pericolo.

Non c’è spazio per altri segni

Ha aperto tagli segreti nella sua pelle d’attore, e lì ha riposto gli attrezzi di scena. Ha sollevato le unghie ad una ad una, e sotto ogni unghia ha deposto un grumo di materia, un manufatto. Ha inghiottito una valigia piena di bozzetti di scene, di chiodi e di martelli. Ha strappato un foglio di carta velina in mille petali di carta, e li ha soffiati lontano. Ha messo una benda sugli occhi. Poi, non ha voluto vedere nemmeno più quel brandello di stoffa nera.

Reliquie, rugiade

Nel tempo il suo corpo è diventato un percorso attrezzato, un tiro a segno di tutti i segni dispersi. Tutto il visibile, oggetto materia paesaggio e narrazione, si è raccolto dentro la linea di confini del corpo, facendosi carne e sangue, discorso compiutamente carnale, “Cremisi d’incarnato sulla pedana/vuota”.

cio che abita il corpo
ha paura
di rompere la carne

così come la scena aveva miniaturizzato il mondo, il corpo a sua volta ha miniaturizzato la scena. Il corpo-scena, così caricato, non è più semplicemente un corpo che si muove nello spazio ma ipostasi dello spazio stesso: il che rende l’atto espressivo un evento carnale, e il teatro un’arte fisiologica. Qui l’attore non dice più, ma secerne il suo teatro.

Come un vegetale geme
il suo umore

Poi, l’addestramento di Marcello al sparizione si è spinto ancora più lontano. In realtà non c’è un “prima” e un “poi” in questo percorso iniziatico, poichè non c’è un luogo di partenza e uno di arrivo, nè un indizio distinto da una meta. Qui “poi” vuol dire: più vicino al suo centro. Più vicino al suo centro dunque, il mondo-scena-corpo dello Sparente è stato a sual volta riassorbito, contratto, come per gli addensamenti successivi di un processo chimico o alchemico di trasmutazione, in qualcosa che potremmo nominare come Voce,  o Fiato.

…consisto solo in questo
fiato che subito si rompe

“La verità del fiato” è il discorso dello Sparente, ce ci invita a seguire il respiro dello spazio scenico ormai totalmente assorbito dal suo fiato rituale, e ad acuire la nostra percezione per rintracciare in questo discorso-fiato miniaturizzato ancora tutta la sequenza completa di mondo-scena-corpo-voce, non amputata ma contratta in un solo evento. Un discorso-bonsai, in un certo senso, nel quale tutti gli eventi possibili sono contratti in un microevento che è il fondamento stesso della vita: il respiro.

La voce, udita, muore

Lo spazio scenico della sparizione è sempre più palesemente uno spazio interiore, e poco a poco il discorso dello Sparente si sposta dalla pedana vuota al luogo non-rappresentabile in cui il pensiero mette in scena se stesso.

Leggero leggero recita il pensiero

Marcello usa ora la pagina scritta in modo diverso: non più come supporto tmporaneo di qualcosa destinato allo spazio scenico, ma luogo in sè, scena nuova e completa del discorso.

Sembrerebbe il punto d’arrivo, il riposo dello Sparente. Ma non è così. L’addestramento iniziatico non può fermarsi neanche qui, e la pagina-scena ha già in sè la propria sparizione.

Esercizi di sbiancamento
suggerisce la pagina
Un raggio di sole cancella
ogni stesura

Ancora una volta la pagina bianca, la terra che ogni poeta crede di scoprire per la prima volta? No, qui il caso è diverso, poichè non è la pagina ad impallidire ma chi la abita, lo Sparente.

…lasciami
invisibile negli aliti
del libro

E la sua invisibilità non è una rinuncia all’esistenza, ma piuttosto un passaggio di stato, come materia lungo l’itinerario dal solido, al liquido e al gassoso. Ma che gesto è mai l’atto del dissolversi? Forse è il gesto della goccia che, prosciugandosi come esistenza individuale, si può finalmente ricongiungere ad un’esistenza più vasta e perenne, a quell'”océan-mère” di cui parla il poeta Tuareg Hawad nei versi che introducono queste pagine.

Certo, si può leggere in molti modi questa immagine dell’oceano-madre a cui convergono tutte le gocce. Noi crediamo che per Marcello, che ha vissuto ogni giorno ed ogni ora della sua vita in teatro, sin da quando saliva sugli alberi della campagna leccese a recitare per il bosco e gli uccelli, questo oceano-madre abba le sembianze familiari e tuttavia ancora enigmatiche di un’entrata in scena. Ormai minuscolo come una goccia indistinta del cosmo, lo Sparente ha ancora attorno a sè tutto il suo mondo. Tutta la sua scena.

Non risparmiarmi morte di teatro
ma lasciami finire questo miroloi
d’anima plena, pagliuzza d’oro
al centro della scena.


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