Marcello Sambati – estratto da “Resti di scena – Materiali oltre lo spettacolo” di Paolo Ruffini, 2004

Cosa cerco, cosa voglio trovare nel profondo, nelle viscere, nella profondità: pozzo, sotterraneo, cripta. Affacciarsi su questa profondità è un rispecchiarsi, vedere laggiù sul fondo, nello specchio dell’acqua, la propria immagine dai contorni incerti, sfumati; immagine misteriosa, indecifrabile di un estraneo, volto sconosciuto che chiama ad un dialogo ad un rapporto un abbraccio. Scendo laggiù a cercare la luce. Dall’oscurità mi guarda, viene il mio fantasma, io già sono il fantasma di me stesso, sono diventato la mia ombra, mi distacco. Nel buio, nel torbido della palude un brulicare di forme di vita, di voci di canti, inorganicità, sfiati, suoni, rumori, respiri, un’immensa ramatura di crepe, crolli, macerie sparse nella tenebra che esibisce tratti di luce sul proprio corpo cosmico. Da laggiù sale il gesto, il grido, il rantolo terribile e nero dell’oscurità e guardando bene, ossevando ho colto l’incompatibilità che esiste tra vivente e vivente, tra cosa e cosa tra noi, me mondo e questa incompatibilità è la bilancia perfetta che ci tiene in vita, che ci invita a cercare l’equilibrio. (…)

(…) C’è sempre un tempo di semina e fecondazione e quindi di caccia, di accumulo e nutrimento, in cui si è onnivori e a volte cannibali, crudeli e immorali. S, in realtà noi divoriamo tutto. Forme, colori, suoni, con lo sguardo, l’udito, la bocca, tutto ingoiamo in un crogiolo bruciante, per lo stomaco e le viscere. Mastichiamo, rigurgitiamo, ruminiamo e vomitiamo: l’esito lo chiamiamo forma, opera, bellezza. L’opera, in genere, vorrebbe essere l’ultima, vorrbbe essere alla fine del mondo, essere radicale, esplosiva, micidiale, implacabile e irripetibile, unica come un delitto perfetto. Spaventare.

(Marcello Sambati)

da Paolo Ruffini, Resti di scena – Materiali oltre lo spettacolo, Iperbook, Edizioni Interculturali, Roma:2004.

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