la poesia si trasforma in immagine – La costruzione della luce (Corriere della sera 1993)

regista e interprete Marcello Sambati e Daria De Florian, dai testi di Milo De Angelis

Luce come metafora della vita e sede della verita’ , all’ interno di un viaggio metafisico linguistico che individua l’ esistenza umana nei frammenti, nelle zone d’ ombra costituite da angoscia e costrizione. Cosi’ si presenta “La costruzione della luce”, collage di poesie di Milo De Angelis trasformato in spettacolo visuale. L’ idea di dare forma drammaturgica ai testi di Milo De Angelis e’ nata all’ attore regista Marcello Sambati che, sfogliando le pagine dell’ ultima raccolta del poeta intitolata “Distante un padre” (Mondadori Editore), ha scoperto l’ alternarsi di due mondi, l’ uno maschile e l’ altro femminile, scritto il primo in tondo e l’ altro in corsivo. Il poeta, efficacemente definito “un angelico Lautreamont del Monferrato” e “un metafisico assillato, come il conterraneo Pavese, da angosce esistenziali” non s’ e’ limitato a “distinguere” i ruoli soltanto con caratteri tipografici diversi: le scritture sono anche formalmente separate, una maschile e l’ altra femminile, una mentale e l’ altra piu’ colloquiale. Lo stesso Sambati (che cura anche scene e regia) ha associato all’ impresa Daria De Florian e i due hanno incominciato a lavorare sulle poesie con lo scopo di “suicidare” il linguaggio, privandolo di simboli e metafore, per farlo poi rivivere per la durata infinitesimale di un brivido o di un’ immagine. In scena i due personaggi si trovano in una stanza con pareti di corda, che e’ palude, prigione, capanno o bungalow orientale. Tra oggetti appartenenti al quotidiano, la donna esegue riti domestici, mentre l’ uomo compie la cerimonia funebre in onore di un padre fantasma rappresentato da un paio di pantaloni vuoti, sulle note del “Nisi Dominus” di Vivaldi e del “Livre du Saint Sacrament” di Olivier Messiaen. Quindi l’ uomo tentera’ di fuggire da questa realta’ opprimente, fatta di impossibilita’ di rapporti e incapacita’ di appagamento: come Icaro tentera’ allora il volo, grazie a due ali di ferro e legno, che pero’ lo schiacceranno inesorabilmente a terra. Alla fine i corpi dei protagonisti, posti sui piatti di una grande bilancia, resteranno immobili, in attesa della luce accecante, pronti ad essere divorati dal successivo buio.

Fr. Ma. – Corriere della Sera (17 febbraio 1993)