La via della Croce – Civitavecchia 2008 (TRCgiornale.it)

La via della Croce apre un nuovo orizzonte culturale       

La “Via della Croce” ha toccato nel profondo gli spettatori che, in gran numero, hanno seguito le due rappresentazioni di sabato e di ieri. Una novità nel panorama culturale della città, un arricchimento su cui si può lavorare per il futuro. Una sinergia fra il delegato alla cultura Pino Quartullo, il vescovo monsignor Carlo Chenis, la Pro Loco e, naturalmente, il mondo artistico e culturale della città che la prappesentazione con la regia di Marcello Sambati ha saputo attivare. Un procedere lento nella notte, fra gli scorci inconsueti, sconosciuti del vecchio cuore della città. Passo passo, a seguire, a scoprire le stazioni del martirio del Cristo. Si accendono le luci, sale al cielo la musica, le parole riecheggiano all’entrata della chiesa della Morte, nei vicoli, all’Archetto, in piazza Leandra, nello spoglio spiazzo recintato di via Giusti. Sono tante le rivelazioni lungo questa Via della Croce. La città si arricchisce, e di molto, di una nuova esperienza, che riconduce alla tradizione di altri luoghi, attraverso un lavoro di grande spessore che Marcello Sambati propone con le scelte giuste, attraverso le icone forti e suggestive, scarne e così espressive che i versi di padre Turoldo collocano nella giusta dimensione di un sentire profondo, anche al di là della fede. E’ la conoscenza, la scoperta, il dolore e la disperazione, la forza d’animo che non si rassegna che conduce attraverso i quadri, è il messaggio di queste icone che compongono la Passione. Gli attori stanno lì, lungo la scala del Cantinone, a ridosso dell’Archetto, fra i vicoli della Quarta Strada a indicare, a prendere per mano gli spettatori, i pellegrini di questo viaggio nella sofferenza estrema. Il Cristo parla con il suo corpo, nel silenzio e nell’immobilità, nella sua nudità quasi fanciullesca, indifesa, fino alla morte. E’ lì, accasciato, sofferente sulla strada, al freddo, fino all’estremo sacrificio, ma proteso verso la salvezza, la speranza. E’ questo il sentimento che le stazioni di Sambati sanno trasmettere, superando il limite della spettacolarità della Passione, vista in altri luoghi e tanto cara ad alcuni registi cinematografici. E’ una pena che i versi di padre Turoldo e le musiche del maestro Scozzafava sanno scandire con semplicità e chiarezza, che il vescovo Chenis nell’ultima stazione fa sua, a voler rappresentare tutto il popolo dei pellegrini, che segue questa via del martirio e della speranza. Un’ottima idea, un’ottima scelta, messa in cantiere con un equilibrio invidiabile da Marcello Sambati che ha saputo mettere insieme, una volta tanto, le tessere differenti del complicato mosaico della cultura della città. Si è potuto avvalere dell’esperienza degli attori della Compagnia di Serena, non nuovi a questo modo di fare teatro, degli attori della Scuola delle Arti, della bravura del maestro Claudio Scozzafava con la sua colonna sonora, eseguita dai gruppi della Scatola Sonora, dislocati lungo il percorso, con alcuni solisti di grande livello da Gianni Bonavera, a Massimiliano Graziuso, a Maria Letizia Benedice, a Gabriella De Rosa. Tre annotazioni, costruttive, a margine del commento. La prima riguarda la fila per accedere alla rappresentazione che andrebbe organizzata con un incanalamento a monte dell’Infermeria e la presenza di un numero maggiore di addetti. La secondo riguarda la fruibilità e la stessa visione dei quadri, problematica per chi è capitato in un gruppo troppo folto, si è dovuto accalcare negli spazi più stretti e con minore visibilità. La terza, che riguarda tutte le rappresentazioni ad ingresso gratuito, fa registrare la partecipazione estemporanea di un pubblico, una minoranza chiassosa,  impreparata,  che si presenta per curiosare, scarriolare con carrozzine con pupo urlante a bordo, commentare ad alta voce e, naturalmente, usando l’immancabile cellulare. 

lunedì 17 marzo 2008

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