L’Age D’Or, Rivista Online di cultura, anno VI – Diario d’autore (23)
Note random su giovinezza; Premio Luigi Manzi; S. Gussoni; M. Sambati; M. Mori; ChatGpt; Fotografia-Maschera; i Massaco; ‘mentalità di guerra’
di Marco Palladini
[…] Però, non sfugge a Gussoni che c’è un attore-poeta, salentino come CB, che oggi incarna una idea e una prassi di teatro di poesia di grande qualità e di forte impronta etico-noetica: è il 79enne Marcello Sambati (a cui è stato attribuito un Premio Speciale Ubu 2024) che è agli antipodi del suo conterraneo per postura pubblica e disposizione scenica, ma che come si legge nel suo Atlante dell’attore immaginario (2022) è in grado di illuminare una ricerca scenica che fa della differenza d’attore non un tratto di superbo e inimitabile solipsismo, ma un modo per esplorare i confini interiori ed esteriori dell’umano in vista di una nuova definizione di una comunità d’essere non autocentrica, ma compenetrata con tutti gli esseri della natura.
Segnalazioni – 2 ► Ho appena citato Marcello Sambati ed ecco sulla mia scrivania arrivare la sua ultima plaquette Ontogenesi (Il passo viandante) [La Camera Verde, 2024], che contiene il testo poetico che Sambati ha recitato durante una recente performance teatrale itinerante immersa nella natura. E il proemio ‘ontogenetico’ dice già tutto: “Un cammino del pensiero esitante, tra gli alberi, sull’erba dei campi, e nella selva oscura dell’umano. Nell’apparire e svanire di voci e linguaggi, singolarità e pluralità di esseri e cose. // Anche pensare si presenta ormai come minaccia. È tempo di diffidare anche del pensiero, che non sia manifestazione e immaginazione della terra – dei corpi, del gelo, del fuoco, delle stagioni di fioriture e diluvi. // Sguardo sul fenomeno della Separazione, che rende gli umani un’immensa comunità di solitudini in perenne conflitto con se stessi e con l’Altro”.
Alla vigilia degli ottant’anni Sambati appare un pellegrino poetico del teatro e del mondo che pur praticando una adamantina poesia-pensiero diffida, appunto, di questo pensare umano sempre terribilmente distruttivo e nichilistico se non è profondamente raccordato con i ritmi, i respiri, i cicli della terra e della natura. La voce del viandante poetico Sambati, pur non ostentando toni oracolari o vaticinanti, indaga palesemente la mappa delle strade perdute verso l’assoluto. Non a caso rivolgendosi ad altri ipotetici camminanti afferma: “E nel fiato perso delle parole – chimere che mai / furono certezze – sfiorando l’impercettibile / del tutto // All’infinito, vita”.
Nonostante certe apparenti somiglianze il cursus poetico di Marcello è molto diverso dalle testualità di Mariangela Gualtieri, rinomata attrice-autrice in versi del Teatro Valdoca di Cesena. Nella Gualtieri vi è un eccesso di creaturalità enfatica (qualcuno potrebbe dire ‘buonista’), che spinge il pedale della visione parenetica, della vibrazione emotivo-sentimentale accorata, di una gioiosità artificiosa. Sambati di contro rifugge dai diorami del dover essere, la sua è una voce sommessa, liminare, epperò pertinace e sensibile come un sismografo nell’avvertire le oscillazioni dell’umano, troppo umano: “Siamo arrivati – al punto cieco della lingua / alla percezione dell’amorfo, scarto del visibile e via / da seguire // Muovere piccoli passi, meditare un raggio di sole, / coltivare utopie”.
Marcello sa ascoltare la natura, registra al magnetofono i soffi del vento in tutta la gamma sonora del loro flusso aereo, sa appunto meditare su un fiore che sboccia o su una spiga di grano che cresce. Epperò nel mainstream poetico nazionale Sambati non è contemplato, non esiste, la sua eccedenza e peculiarità teatrico-letteraria non è riconosciuta. E questo, per dirla tutta, mi rende ancora più caro l’ascolto della sua inconfondibile voce.
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