L’incompatibile – recensione di Marco Palladini (RadioRaiInternational)

RadioRai International – “Dossier”

Si parla tanto e spesso a sproposito di “teatro di poesia”, ma è soltanto dopo la visione di uno spettacolo bellissimo come L’incompatibile di Marcello Sambati al Furio Camillo di Roma, che diventa di plastica, innegabile evidenza il concetto di poesia scenica. Il sottotitolo del lavoro è “seconda lezione delle tenebre”, e quella di Sambati è appunto la lezione di un piccolo-grande maestro del teatro italiano di ricerca che da quasi 30 anni esplora i margini fecondi, espressionisti dell’arte della scena. Il tema dello spettacolo è, nell’enunciazione dello stesso Sambati, “il sacrificio della parola, della voce e del corpo”. Sacrificio è il termine-chiave che ci fa intendere come il teatro di Sambati sia un penetrante tentativo di ridefinire, illuminare il rapporto dell’uomo con la dimensione del sacro. L’incompatibile si svolge come un flusso di quadri viventi attorno e dentro una grande e vuota cornice di legno, in una calibrata alternanza di buio e luce, di silenzi e suoni, di pause e accelerazioni. Giacca blu, camicia e pantaloni bianchi, alti scarponcini ai piedi, Sambati agisce ora con movimenti lentissimi da danzatore butoh, ora con frenetici balletti di pose e gesti quotidiani, ora assumendo posture che con piccoli trucchi lo fanno levitare da terra, sfidando la legge di gravità. I suoi versi, gravi e macerati («corpo mortaio corpo di sputi e sangue… nel cranio vuoto di stelle un tarlo assiduo rode nel tempo»), si mescolano con fonemi animali, linee di canto, mugolii post-umani. Il suo approdo dichiarato è l’autoestinzione: «mi rinuncio, mi cancello, mi consegno a questa tagliente morte, morte amore». La vera, scandalosa poesia dell’uomo, ci dice Sambati, è in questo “essere per la morte”. In questa sacra tenebra è il dio della salvezza.

MARCO PALLADINI


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