L’incompatibile – recensione di Rossella Battisti (l’Unità)

Le tenebre poetiche di Sambati

succede ancora di ritrovare in reconditi anfratti teatrali e il gusto di uno spettacolo sorprendente. Piccole folgorazioni, un momento poetico, transiti che lasceranno il segno. Come al Furio Camillo di Roma, un "off" che sta vivendo una stagione d’oro, dove si danno appuntamento tutte le novità che contano (o conteranno), emergono nomi da tenere d’occhio, passa l’avanguardia interessante. O ritorna. Come nel caso di Marcello Sambati, sulla breccia della ricerca fin dagli anni settanta. Autore stavolta di una breve quanto intensa performance: L’incompatibile, seconda lezione delle tenebre e seconda puntata di un attraversamento multiplo del concetto di oscurità.

Un semplice quadrato bianco per cornice scenica e il proprio corpo, in giacca scura e pantaloni chiari, per raccontare un percorso di apparizioni e assenze – l’esserci e il non esserci -, di equilibri difficili, di emozioni da elaborare. Un corpo, quello dello stesso Sambati, segnato da un tremito segreto, mappa fisica dei colpi subiti, amori perduti, strazi vicini e lontani. In sottofondo, bisbigliata da brevi haiku di cui pure è autore, Sambati frammenta il disagio del vivere. Mescola da grande alchimista parole e sorprendenti voli del corpo. Un muoversi leggero e, allo stesso tempo, doloroso come quello, appunto, suggerito dalle note di sala di "una farfalla appuntata ancora viva su di un album". L’incompatibile diventa così uno spingersi sul bordo, oltre la linea d’ombra.

Parabola di una vertigine per e nel buio che Sambati chiude nell’arco breve di un’ora.

18 aprile 2003


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