Marcello vola con ali di canne…?
Fermata della metropolitana “Furio Camillo”, si svoltano tre quattro angoli, ecco via Camilla, lunga irregolare. Alle nove di sera la curiosa geometria dell’edilizia popolare anteguerra disorienta il viandante occasionale: puoi essere a budapest, a Chicago, a Londra non importa dove, ma importa quando. Tempo presente, tempo reale di una passeggiata serale. Il numero civico 44 è su un piano rialzato risptto alla strada. Una saracinesca aperta e una porta a vetri non indicano un teatro e nemmeno una “sala”. L’idea è più vicina ad un luogo privato, possibilmente di una palestra di quarrtiere.
Nessuno ha mai saputo in realtà quale sia l’osteria di Amburgo nella quale tutti i lottatori si incontravano una volta l’anno, a porte chiuse per la gara senza trucchi. Forse Sklovskij si sbagliava, o forse quell’osteria di Amburgo è oggi una palestra senza insegne. Certamente deve assomigliare molto a Dark Camera. Nel teatro di Marcello – a Roma esiste un altro teatro di Marcello, così per non confonderlo lo chiameremo Sambati, che è anche più bello, suggerisce una danza, un modo di essere brasilliano, ma il nostro è pugliese – nella sua sala rare volte l’anno alla presenza di poche persone si svolgono incontri senza trucchi. Marcello vince sempre. Non è che sia lui il solo protagonista degli incontri, ci sono altri, ma il nostro è un autentico campione. La sua spcilità agonistica è la lotta con l’angelo. Il suo pubblico, ristretto, appartiene alla ennesima generazione che ha già dissipato i suoi poeti. Marcello è un campione. Anche a Dark Camera a volte capita l’agente della Siae, e controlla bordereau e biglietti. Essi non sann che a Dark Camera si fa teatro di poesia, si fa un teatro non recitato, non si fa teatro insomma; già, ma a loro che importa, perchè dovrebbero saperlo? A noi invece si. Per questo decidiamo di andare oltre – dove non vanno gli agenti della Siae – di scendere letteralemte dentro il teatro. Una scala ricavata da una struttura di tubi innocenti – tubi colpevoli in realtò di atrocità dello spirito – salva l’ignaro visitatre dal baratro, dal precipizio al fondo del quale, come una visione di Bosch, si spiega il “testo” drammaturgico di Marcello Sambati. Entra dunque, predisponiti a divenire complice, in questo luogo non c’è spazio per la consolazione “Qui si addice il decoro del silenzio, non l’offesa della parola” direbbe Landolfi. Ma lo spazio-testo di Marcello è vivo.
E’ un circo Dark Camera, non quello dei clowns, ma quello di Nerone dei gladiatori e dei leoni, è il circo che soppianterà il teatro, quello a cui pensava Céline. Marcello è un atleta del cuore, non recita, fa un teatro senza qualità, un teatro che ha tutte le qualità, che è fatto di carne, di sangue, di ossa di pietre, di legno, di tele, che lancia segnali fra le fiamme, che proietta ombre.
Come ogni agone che si rispetti, testimonia atti di cannibalismo. Si consuma carne umana, si trma di gioia, ma, essendo a nostra una generazione senza poeti, non si commettono più parricidi. Rimane dunque il teatro. Il teatro non recitato. Il teatro della fine dei teatri, il teatro non rappresentato, il teatro della presentazione.
Il teatro di poesia. Marcello è solo, lotta con l’angelo dell’annunciazione. Lavora alchemicamente con le sue pietre, con il fuoco, con le tele, con il legno, con le canne, con il ferro. La musica regna. Hic sunt leones, è la fine della cartografia.
E infatti dove ricondurre il teatro di Marcello? In quale area geografica collocarlo? E’ assolutamente impossibile trovare colla per etichette, il teatro di Marcelo Sambati percorre una via conun cuore, è una via dello spirito, parte dell’anima, ma è un vettore proiettato molto in avanti, tocca altre anime, come un viaggio spaziale, ogni anima è un pianeta.
Come in un film di Pudovkin o di Ejzenstejn fa recitare gli oggetti del suo teatro; Marcello, sciamano non-attore, anina gli oggetti disposti nello spazio sacrale di Dark Camera ed essi si animano e si illuminano di una luce propria, di una magica energia: indossa un paio di ali di canne e vola danzando per andarsi a schiantarecontro uno spazio verticale contrassegnato da un cerchio magico di fil di ferro; il praticabile verticale disposto in fondo alla scena, visto in realzione a un punto di vista. La costruzione delle scena è il teatro non rappresentato di Marcello, qui è l’elemento, l’oggetto teatrale ad animare il verso. E’ l’elemento materico a diventare geroglifico, perchè la pietra non è pietra, ma Pietra. I versi non sono surrogati compositivi di una idea di teatro, ma sono elementi puramente compositivi, i movimenti dell’Attore sono strategie di percezioni visive. C’è il sapore di un viaggio iniziatico, di una rappresentazione iniziatica per i pochi eletti, dove il “guardare” diventa “saper vedere”, dove ci si predispone alla visione. “Chiamo convenzionalmente poesia quella sfera della creazione artistica cui le grandezze semantiche hanno la tendenza a diventare puramente compositive” – Sklovskij-. E in questo senso qui ci troviamo di fronte a un teatro di poesia dove ” The time is out of this bound”. Un teatro che ha preso la via dello spirito, che è partito dall’anima, ma tocca pietre, legno, corda, tela, ferro, luce, musica, corpi.
E’ il procedere compositivo per geroglifici, il geroglifico del teatro, le pietre, le ali di canna, il volto di tela bianca segnato di sangue che svela un altro volto bendato, una pagina bianca segnata da segni, segni che significano Segni. Le parole pronunciate trasportate dal fiume della partitura musicale, diventano oggetti, pesano come pietre, le pietre sono invece leggere come versi: il punto di vista dello spettatore è capovolto. Osservando il Mosè di Michelangelo, se si fa caso allo strano sproporzionamento delle membra del corpo, viene il dubbio che, nello scoprirlo, Michelangelo abbia pensato a una visione non dal basso verso l’alto, ma al contrario, dall’alto in basso; e chi può permettersi un tale privilegio se non Dio?
Ecco, entrando a Dark Camera non si capisce da quale punto di vista parte la propria via dello spirito..basta seguire le evoluzioni della poesia di Marcello. Un teatro non è lirico, dove le pietre si svolgono come versi e le parole rotolano come sassi. Un teatro che non si fa digerire, ma che può soltanto essere metabilizzato, a patto però che il corpo sia disposto, sia preparato a recepirlo, altrimenti lo si deve ineluttabilmente rifiutare. Se in Pezzi del buio la strategia operata era la cancellazione delle parole, dei versi usati come oggetto di scena in un procedimento per diagonale, come certe riprese cinematografiche, come l’obliquità di certe danze rituali, come la mossa del cavallo negli scacchi che designa un angolo retto, così la geometria del teatro di Marcello procede verso nuovi teoremi: in Ecce homo entra in diagonale con un movimento ascensionale, una diagonale che sale verso l’alto, in un nuovo spazio rappresentativo che dalla terra indica una testa proiettata verso l’aria.
Tempo presente, ma tempo sospeso come quello di una tecnica extra quotidiana, come quello della visione. Cannibalismo come conoscenza:
“Mai mi specchierò: in un tuo sguardo/eccomi faccia a faccia/ti toccherò e ti saprò/non tivedo…/lasciati prendere, lasciati…/ti mangio perchè ti amo/Io è perduto e tu non esiste più/due crani in un deserto tra io e tu l’aria è ammutolita.”
Marcello mangia la mela che scende dal cielo inevitabilmente spinta dalla forza di gravità verso la terra. Ma qui è in gioco la geometria euclidea, dunque due rette parallele in realtà si incontreranno prima o poi; così come siamo fuori dalla prospettiva rinascimentale come spazio della finzione, ma alla realtà, alla realtà dell’artificio. Il montaggio cinematografico ha insegnato a vedere una nuova possibiità di costruire e di vedere una realtà come se, e , allo stesso tempo insegna a vedere.
Il teatro di poesia come “deflagrazione del principio di finzione” (Achille Mango), l’insufficienza della scena come valore esaustivo. Qui si sposta in avanti la concezione della scena e di “fare teatro” su cui si è bloccata la post avanguardia. La stessa nozione di scrittura scenica necesita di un aggiornamento e di una verifica, comunque non può servire da giustificazione per l’impasse di una generazione. In un’epoca in cui il teatro ha perduto irrimediabilmente la sua necessità sociale lo spazio della poesia afferma la sua urgenza. Se è vero che nell’epoca borghese la tragedia è impossibile, l’istanza dell’Utopia è allora quella di realizzare una tragedia laica, la presentaione del peccato senza Dio, dell’atroce lavoro di Sisifo. L’attore e il suo spaio rivendicano la necessità di mettere in scena la nuova tragedia senza dio. Marcello entra nello spazio sacro circoscritto da un telo bianco che parte dall’alto, apre il Libro che immediatamente prende fuoco: ” Tu sei la mia interminabile insonnia: va bene, va bene: io sono il collezionista delle inutilità sante”. Ci ricorda anche che “Chi è solo perde la memoria” ed è in fondo la caratteristica di una generazione che solitaria, non solidale, ha perduto la memoria dei poeti. In un’epoca contrassegnata dal valore della quantità, chi lavora sulla via della ricerca percorre la strada opposta, ma da un’altra parte, preferiamo essere senza qualità.
Marcello indossa le ali di canne bellissime e vola verso la scena verticale, per schiantarvisi: “Ho mostrato la mia pelle/ Mia ragione ha ceduto./ Insetto da insetto./ Ossa disanimate./ Parole sfiatate./ Spia dalle fessure /L’animale incantato/ che si mostra nelle scene/della vita vivendo./ Ecco la cosa/ Un poco verme e un poco farfalla/ Che striscia e vola/ Che striscia e vola…/Perde sangue…/Basta, basta…”
Dario Evola, da Dark Camera N.3 APRILE/MAGGIO 1988
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