Natura Requiem, recensione di Gianluca Avigliano

Marcello Sambati
NATURA REQUIEM. FRAMMENTI DEL TEMPO FINITO
Roma, «La Camera verde», Anno 2009

Marcello Sambati di origine pugliese, ma romano d’adozione, inaugura il suo cammino poetico nel 1996 con la raccolta Carta dei respiri (ed. I Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme – Bologna), in cui si sottopone a un’operazione di «sbiancamento» che lo porta a essere invisibile alla scrittura stessa.
Con la seconda raccolta poetica del 1998, Tavolette apule (ed. I Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme – Bologna), il poeta ci invita ad amare la natura attraverso il rinvio costante alla mitologia dell’albero, delle foglie e dei rami fino al mondo animale e minerale.
In Danze locuste (ed. Manni, Lecce) del 2002 Sambati ci offre pagine di stupore, di visioni e di amori impermanenti: la natura nelle sue infinite forme.
A sei anni di distanza Sambati pubblica il libro Sul cammino dei passi brevi (ed. La Camera Verde, Roma, 2008): le liriche dialogano con i dipinti del fratello Romano, artista impegnato costantemente nella ricerca di contenuti e linguaggi nuovi: le parole e le immagini sembrano fondersi nel percorrere lo stesso «cammino».
L’ultimo lavoro poetico di Marcello Sambati è Natura requiem. Frammenti del tempo finito (ed. La Camera Verde, Roma, 2009): opera in cui l’artista rinnova la forza poetica degli esordi. Siamo in presenza di una lingua «impressionista», di una poetica dell’attimo e della frammentarietà dalla caratteristica grammatica sapienziale. Gli enunciati si presentano scarni e fulminei in una piena libertà ritmica. La parola è scavata fino alla purezza per lasciare spazio alla pausa e al silenzio. Le poesie si presentano prive di titolazione e il titolo della raccolta riassume la riflessione centrale condotta con rigore e verità: la morte della Natura il cui dolore stilla / e non conta le perdite.
La frammentarietà può essere vista come il risultato di un processo in cui il testo poetico è ridotto all’essenziale con un rinnovamento, consapevole e moderno, delle tematiche della tradizione novecentesca. La struttura delle strofe rimanda a quella degli Haiku giapponesi, che più di una forma poetica sono uno stile di vita aperto e ricettivo.

Sambati ci conduce lungo un percorso, dove le lacrime silenti restituite dal poeta agli arredi del volto (Carta dei respiri) si trasformano, in quest’ultimo lavoro, in lacrime secche e poi nere, / come acque sorgive.
Non baratta tavolette / di silenzio senza date, / senza durate, ma ora ritorna ai silenzi vegetali di Danze locuste perché nel cuore di ogni cosa / il silenzio / tiene il grido (Natura requiem). Gli spasmi delle raccolte poetiche precedenti diventano ora spasmi della Natura: libellula di cenere rossa (…) il sangue pasquale dell’agnella / cola, irriga e spacca (…). L’uomo si presenta come il carnefice, il responsabile della morte della Natura: l’agnella deflorata da lama / irrimediabile.
Seguendo una direzione che non ha cieli stellati (Sul cammino dei passi brevi) ma cieli di carta (Danze locuste), Sambati ci presenta il rettile, l’albero e la poiana / su un cielo senza fondo / vengono, vanno / alla cieca (…).
Ciò che rimane non è più la polvere dei poemi di Danze locuste o il nero di matita, che tanto il poeta ha amato, ma il deserto, ali strappate (…).
Come Paul Celan e Edmond Jabès, anche Sambati dialoga con le cortecce dell’albero, osserva gli animali e le loro vite inferme, i loro corpi ermetici e infranti che nessuno potrà mai risarcire: un nudo sentire, umano e non umano, in empatia con certe creature; annota i sapori di una Natura esausta, dispersa e infinita che chiede di essere salvata.
Egli, sulle orme del pensiero originale e profondo di Maria Zambrano, rivolge l’attenzione a questi segni non umani, naturali che ci ri-consegnano a una pace con l’universo, luogo nel quale l’uomo visse senza pretese di possesso.
L’atto della scrittura è dunque memoria e impegno morale che non imprime i suoi caratteri nel tempo di questa esistenza, ma solo in un altrove.
Le poesie di Marcello Sambati esigono la disposizione a una lettura totale, in quanto l’autore offre al lettore frammenti che rinnovano la spiccata originalità del suo registro lirico nel quadro della poesia a lui coeva, attraverso l’uso costante di allitterazioni, assonanze, anafore, ossimori e anticlimax.
La raccolta si chiude con una citazione del poeta Paul Celan (Ich muss dich tragen…) perché Sambati, come lui, ci conduce all’esplorazione del «nostro» deserto.

GIANLUCA AVIGLIANO


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