Scarnificare l’attore: incontro con Marcello Sambati – Intervista di Gianluca Grimaldi

Scarnificare è un verbo rude, ma nasconde una necessità artistica ben precisa: ridurre l’attore a una figura inerte animata soltanto dalla poesia. E’ questo l’intento di Marcello Sambati nel suo ultimo spettacolo “Atlante dell’attore solitario – capitolo 1 La marionetta”, che porta in scena nella Sala del Ricamo del Castello Pasquini.
Poeta dalla lingua evocativa, Marcello Sambati trasforma il teatro in un esperimento di materia e spirito. Un monologo che racconta l’irrisolvibile indistinzione che gli impedisce di affermarsi compiutamente nella specie unicamente umana.

Lei presenta alla 22° edizione del Festival Inequilibrio il suo spettacolo “Atlante dell’attore solitario – capitolo 1 La marionetta”. Il termine Atlante presente nel titolo rimanda al significato di guida. Curiosamente, però, è anche il nome del personaggio mitologico che sostiene il mondo, un po’ il contrario di quello che fa una marionetta. A cosa si rifà precisamente il titolo? E se la parola è intesa come guida, cosa guida l’attore?
Marcello: Atlante in realtà è stato la maturazione del termine guida. Mi sono chiesto: la guida è guida per chi? Non pretendendo di essere guida di alcunché, ho riportato il titolo al termine “atlante”, a qualcosa di più originario e primordiale rispetto a una guida e che riguarda di più il mondo nel suo complesso. L’attore è rappresentato come corpo disanimato in attesa di essere abitato dal soffio del teatro, dell’ispirazione e della voce. In questo senso Atlante. Come se l’attore fosse questa figura inerte che, se non viene mossa dall’alito creativo della poesia, della musica, del gesto, rimane tale, rimane marionetta disanimata. La marionetta non è un corpo legnoso, per quanto in questo lavoro ci sia un riferimento al legno, ma più all’ elemento della natura che viene eroso dal tarlo. Questo è solo uno dei capitoli dell’Atlante che è un libro a cui sto lavorando e che riguarda tutta l’esperienza dell’essere attore fin dalla sua infanzia, fin da quando scopre la bellezza dell’avventura, del pericolo.

Che ruolo ha il concetto di umanità/non umanità all’interno del suo spettacolo?
Marcello: C’è questo nella contemporaneità: aver dimenticato l’umanesimo a favore dell’umanismo che è l’esaltazione dei valori semplicemente dell’essere umano a discapito dei valori stessi della natura, dell’essere nel suo insieme, delle voci infinite che animano la terra e, ad uno sguardo più ampio, le stelle e l’universo. Diverso è l’umanesimo, quando si scopre l’empatia. E’ fondamentale questa differenza.

Cosa comporta per l’attore l’interpretare un essere scarnificato?
Marcello: La marionetta è quel corpo aperto alle voci dell’esistente che può essere il vento, un lupo solitario nella notte, il lamento di un bambino, voci interiori della materia stessa. La marionetta è l’emblema di questo corpo disponibile a farsi animare, a farsi muovere. Può anche non fare nulla, essere in attesa.

Quanto conta invece il contesto per uno spettacolo del genere?
Marcello: In questo caso lo spettacolo va in scena nella Sala del Ricamo del Castello Pasquini, un ambiente piccolo. Ma questo permette una vicinanza quasi tattile con il pubblico, una vicinanza di respiro. Nel caso di questo lavoro è molto positivo perché il pubblico può sentire l’attore animarsi anche nelle pieghe minime del corpo. Non c’è quella distanza in cui non si possono cogliere molti dettagli.

Lei è molto attivo sul piano laboratoriale oltre che su quello dei singoli spettacoli teatrali. Quanto è importante vivere il teatro in un’esperienza continuativa piuttosto che per singoli atti, piccoli spettacoli?
Marcello: Il teatro è una pratica di scoperta quotidiana, come per lo scrittore, il poeta. Non si differenzia dalle altre arti. Richiede lo spazio dell’intimità, lo spazio della condivisione, la pratica quotidiana con tutti i suoi fallimenti ma allo stesso tempo con l’euforia di aver colto qualcosa di vitale. Che ci sia o non ci sia il pubblico.
Vengo dalle arti plastiche, ho fatto scultura, per cui le arti visive mi sono molto dentro e capisco benissimo la necessità dei tempi di ricerca.

Parlando di ricerca, con questo ultimo spettacolo qual è l’approdo della sua ricerca artistica?
Marcello: A una sintesi. L’Atlante è un libro che percorre la relazione, a tutto campo, delle esperienze fatte e anche dei desideri da fare. I temi dell’Atlante sono infiniti. Questo spettacolo riguarda solo la figura della marionetta che sono solo tre pagine del libro. Poi c’è un lungo capitolo sulla natura.
Penso già a lavorare sul secondo capitolo, un lavoro sugli estratti della natura.
Bisogna continuare a fare esperienze finché il tempo e la vita lo permette.

Una ricerca in divenire quindi?
Marcello: Sempre.

2 luglio 2019

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