Splendido Shô sul culto inutile della Bellezza -Nico Garrone (La Repubblica 1998)

Detto in due sole righe: “Shô, la Bellezza finale” è, e probabilmente resterà, il miglior spettacolo di questa stagione romana nell’ area della sperimentazione. Frutto di una collaborazione artistica fra due importanti compagnie del teatro di ricerca, Dark Camera e Pudore Bene in Vista, firmato a sei mani da Fabrizio Crisafulli per la regia e lo splendido disegno delle luci, Marcello Sambati per l’ adattamento liberamente ispirato ad una novella di Tanizaki, e coreografato da Giovanna Summo, “Shô”, in giapponese, “racconto”, evoca sul filo di una memoria visionaria e incantata la vicenda di Shunkin e del suo devoto amante-servitore Sasuke, interpretato dallo stesso Sambati. Quasi sempre accoccolata su una pedana circolare in fondo alla sala, Giovanna Summo, nel ruolo della protagonista, lascia danzare le sue mani e le sue braccia nude imprigionando l’ aria in una sorta di moto perpetuo musicale, di moscacieca sottilmente erotica. Intorno al suo altare di Santa bambina, una piccola corte di monaci compie enigmatici rituali, pratiche giornaliere dedicate unicamente al culto inutile e ludico della Bellezza. Prima che il buio, o la luce accecante della notte, l’ ingoi cancellando la scena. (nico garrone)

Repubblica — 19 dicembre 1998