Teatro e poesia all’ombra di Castiglioncello di Andrea Porcheddu, Gli stati generali 29.06.19

Ma chi se ne fa carico, della poesia? in questi giorni accaldati e pragmatici, divisivi e competitivi, violenti e ottusi, chi resta con gli occhi incantati? Chi trova parole poetiche, allusive, illusive, gioiosamente vive e ferocemente, crudelmente vere?

Me lo chiedevo, al Festival Inequilibrio di Castiglioncello. Giunta alle 22esima edizione, la manifestazione toscana diretta da Angela Fumarola e Fabio Masi, si pone, sempre più, come luogo di aperture e contaminazioni dei linguaggi, come oasi – direi – in cui inesauribili fonti d’acqua e d’ombra spirituali e sentimentali danno sollievo, ossigeno a teste spesso affaticate, ottenebrate, come la mia. È l’umbratilità, una sorta di protezione, sotto quei pini a ombrello, di un fermento vivo d’arte e, per l’appunto, di poesia. Sarà la vocazione del borgo (qui erano di casa Mastroianni, Pirandello, Suso Cecchi d’Amico, Monicelli e molti altri…), sarà ovviamente la netta direzione artistica di Fumarola e Masi – che sanno di voler e poter rischiare – ma Inequilibrio prova a rispondere a quella domanda inziale, ossia a farsi carico della poesia.

Ne sono prova concreta, materica, umana, tre lavori, visti nel volgere di due giorni. Mi piace darne conto (e tornerò più avanti su altre proposte sceniche), perché questi lavori possiedono non solo la “bellezza terribile” della poesia, ma anche il sapere antico e modernissimo del fare teatro. Di quel teatro che bilancia sapientemente maestria attorale, scrittura scenica, drammaturgia (ovvero poesia), e un sano, non retorico, desiderio di comunicare, di parlare politicamente al mondo e del mondo. (…)

(…) A chiudere questa trilogia poetica, segnalo con grandissimo piacere il ritorno in scena di Marcello Sambati. Non che se ne sia mai allontanato, dal palcoscenico, questo maestro appartato che a lungo è stato – ed è – uno dei riferimenti della ricerca teatrale romana e non solo. Sambati ha dalla sua una storia lunga e testarda, mai compromessa da mode o da interessi, anzi rigorosa e coerente (ma senza retoriche rivendicazioni: semplicemente, con l’essere, lui, sempre se stesso. Poeta raffinato e discreto, soggetto e oggetto scenico di una ricerca che ha saputo fiorire e germogliare in scritture, allestimenti, e discendenze vive e dirette tra cui penso di poter ascrivere, serenamente, anche il percorso di Daria Deflorian). Insomma, un maestro che non vuole essere tale, che anzi si schernisce, nella sua fiera timidezza che è l’eleganza di una tradizione antica. Forse non è un caso che l’incipit del suo folgorante Atlante dell’attore solitario, mi abbia catapultato, in un viaggio temporale, all’inizio di Past Eve and Adam’s, l’ultimo spettacolo di Leo De Berardinis. La voce profonda e calda, il verso poetico, la magnetica presenza di un corpo-strumento musicale, rimandano – senza manierismi – al magistero di Leo. Per Sambati, con l’assistenza alla regia di Elena Rosa, questo poema, breve e febbrile, trova spazio in uno scarno allestimento: una piccola pedana in legno in terra, una sedia in ferro perennemente instabile ma solidissima.


E, sopra, il corpo segnato dal tempo di Marcello Sambati che usando solo due fari, sa evocare atmosfere caravaggesche, schieleriane o addirittura alla Francis Bacon. Corpo trattenuto, e poi esplosivo “direttore” con tanto di bacchetta di fronte a Stravinskij, corpo sospeso di una marionetta che è il tema del primo capitolo di questo Atlante dell’attore solitario. «Accartocciata / intorno alle sue ossa /sogna i movimenti della carne viva / nelle pose disperate, nei disegni / scomposti, labili cuciture di fantasma / cerca l’anima, ma l’anima sfugge…»: si apre così, il poema, che si dipana poi in vertigini verbali e in affondi nell’oscuro malessere di un «legno tarlato», che non è solo della marionetta ma metafora di esistenza umana. Bellissimo, nella sua semplicità, potente nella sua sapienza attorale, struggente nel suo ostinato «cercare parole perdonate / parole lievi o in mancamento / che salvino il dire e l’ascoltare».

A Castiglioncello, al Festival Inequilibrio, lo sanno. Ecco dove risiede il teatro, almeno a me è parso così: nell’ombra della ferita e della parola che feroce, ancora colpisce chi ascolta.

Andrea Porcheddu
Gli Stati Generali

29.6.19

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