TRA REALTA’ E MERAVIGLIA: IL FESTIVAL IN EQUILIBRIO DI CASTIGLIONCELLO di Massimo Marino

Una mistica per la vita quotidiana?
I primi tre giorni hanno presentato spettacoli quasi sempre riusciti, con notevoli punte . Ho già parlato del raro lavoro di Renato Palazzi su Goethe schiatta di Thomas Bernhard, Non sorprende Massimiliano Civica, perché ormai è una sicurezza. Ma come sempre meraviglia, sposta ogni tipo di attesa, presentando un lavoro dove al solito minimale, scarnificato rigore della recitazione unisce un salto vorticoso di piani drammaturgici, mescolando tre sermoni di Meister Eckhart, mistico tedesco dei tempi di Dante, con altrettante scene di vita quotidiana. In Attraverso il furore, alla voce densa e lieve di Marcello Sambati, un’icona di ricerca e rigore poetico lontano da ogni moda, sono affidate le parole visionarie di Eckhart, che raccontano la lotta dell’ascesi dalle tempeste della vita, dalle seduzioni della carne, verso Dio, porto di quiete e unità, superiore perfino alla verità, al bene, in quanto Essere che tutto comprende e risolve. Queste altezze meditative si scontrano con tre situazioni di vita, affidate alle voci piane e ai guizzi trattenuti di Valentina Curatoli e Diego Sepe, perfettamente calati (ma con controllato pudore) nella materia sporca dell’esistere di oggi, senza mete di altezze, dove l’incontro è la missione salvifica di una che dà lavoro ai carcerati, introducendosi nella vita del suo assistito con un gioco di attrazione-distanza-seduzione; o è l’ubriachezza felice, inconsapevole e gravida di conseguenze di un padre che si abbandona nelle neve e di un figlio e una nuora svogliati, lontani, tra sè, da lui, dalla vita; o, ancora è il dialogo sfasato tra due persone, un lui e una lei su due sedie a sdraio al mare, in vacanza. Tra il grigio scorrere di vite piatte e l’esaltazione non si creano facili rispondenze o svelate sovrapposizioni: aleggia un mistero, un senso dello scorrere, del tendere e dello zavorrare, dell’altezza e dell’umana imperfezione che, dopo un primo momento di smarrimento, apre strade mentali impreviste. Grazie anche alla controllata bravura degli attori, fatta di sguardi, di microintenzioni, in un affrettarsi lentamente immobili ai tre lati di un tavolo, un mareggiare sommesso ma mosso, di una presenza coinvolta e astralmente distante insieme, fili d’Arianna in un labirinto simile alle grandi questioni della vita, ai piccoli tradimenti e trasalimenti, sfiorati o affrontati di petto, in un conflitto senza soluzioni tra riflessione e flusso, tra un morbido lasciarsi andare e un eroico tentativo di scalfire il vuoto. Antonio Pirozzi firma le tre storie, un copione vivo che diventa azione in bocca agli attori.

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