Una sagoma umana incerta sulla soglia (Il manifesto, 16/01/06)
Marcello Sambati torna al Furio Camillo, spazio che egli stesso inventò e creò tanti anni fa con la sua Dark Camera. Il tempo è passato, e cambiando radicalmente il proprio antico linguaggio per conquistarne e affinarne uno nuovo, l’artista dà una visione commovente e poetica del suo Addio. E’ questa per la verità la terza parte del trittico Lezioni delle Tenebre, dedicato proprio ad esplorare e “cartografare” il teatro dell’interiorità.
Più di ogni descrizione, che sarebbe ardua e comunque incompleta e parziale, mai come in questo caso si può accogliere o rifiutare l’invito a non perdersi questa visione dolorosa e poetica, questo fantasma di teatro che è cresciuto nell’intimità dell’artista, e si mostra con gesti misurati e millimetrici, sulla soglia di un taglio di luce. Risuonano nell’aria dei versi detti da Isabella Bordoni, mentre il corpo dell’attore, o qualche sua parte, vive sotto la volta di un arco di pietra questa morte parziale e progressiva, varcando appunto quella soglia del buio che impedisce di distinguerlo avviluppato a una sedia o appeso al cielo attraverso un moschettone. Nell’intimità di un pigiama/camicia di forza, nella “normalità” notturna di ciascuno, Sambati distilla e declama fisiologia e vita, reattività e controllo delle passioni.
Un distacco consapevole e feroce da ogni vano vitalismo. Un glorioso, e nonostante tutto “pudico”, epitaffio per un attore pulsante, che incanta e rende certi che non sarà questa l’ultima vita teatrale di Sambati.
(Il manifesto 16/01/06)
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